Dal cinema muto al cinema sonoro.

Agli inizi del ventesimo secolo uno dei più grandi limiti del cinema era il fatto che non fosse possibile, in fase di riprese, registrare il sonoro. Negli anni erano stati fatti dei tentativi per aggiungere questa parte non indifferente ai film: alcuni facevano suonare dal vivo un ensemble od una piccola orchestra come accompagnamento musicale alle opere filmiche, altri utilizzavano i dischi in bachelite che andavano diffondendosi per garantire la musica in assenza di orchestre.
Il primo film sonoro fu prodotto dalla Warner Bros con il titolo “Don Giovanni e Lucrezia Borgia” e proiettato nel 1926: nel film era possibile ascoltare gli effetti sonori, come i passi o il cozzare delle spade tra di loro. La data spartiacque però è successiva: il 6 ottobre 1927, a New York, venne proiettato “Il cantante di jazz”, sempre prodotto dalla Warner Bros: gli spettatori di quella prémiere, con loro grande meraviglia, ascoltarono per la prima volta al mondo le voci degli attori del film; si trattava di poche battute, tra cui una rivolta al pubblico, ma erano sufficienti: era nato il cinema sonoro.

Il sonoro in Italia ed i primi doppiaggi.

Il successo del sonoro sincronizzato fu immediato nel nuovo continente, meno in Europa. Questa ricezione tiepida era dovuta sia alla mancanza di sale attrezzate per il sonoro, sia, soprattutto, a una precisa volontà politica: molti regimi, in particolare quello italiano, erano restii alla proiezione in lingua straniera di quello che all’epoca era uno dei mezzi di comunicazione più potente. In Italia, ad esempio, dove il sonoro autoctono aveva debuttato nel 1930 con il film di Gennaro Righelli “La canzone dell’amore”, la soluzione adottata fino ai primi anni Trenta fu quella di togliere l’audio in lingua straniera ed inserire delle didascalie su sfondo nero o su fermo immagine, con risultati penosi sia per il ritmo del film, che veniva spezzato, sia per la durata stessa della pellicola, che raddoppiava o addirittura triplicava.
Dato che all’epoca l’Italia era uno dei maggiori mercati esteri del cinema americano, le grandi case cinematografiche iniziarono a cercare delle soluzioni. Nel 1929 gli studi californiani della Fox contattarono l’attore italoamericano Augusto Galli per preparare un audio in italiano per una scena del film “Maritati ad Hollywood”. Nasceva il doppiaggio, con una tecnica sicuramente rudimentale, ma che fu ripresa dalle maggiori case di produzione; queste iniziarono ad assumere attori italoamericani o italiani emigrati negli Stati Uniti per doppiare i film da spedire in Italia. Il primo film a subire interamente questa operazione fu “Carcere”, diretto da George W. Hill e prodotto dalla Metro-Goldwyn-Meyer.
Il pubblico italiano apprezzava questo tipo di doppiaggio molto più dei sottotitoli che tanti spettatori non riuscivano a leggere a causa dell’analfabetismo, e l’apprezzava nonostante la forte cadenza americana dei doppiatori.
Sulla scorta del successo del doppiaggio la Paramount creò uno stabilimento centrale in Francia, dove gli attori dei Paesi europei, Italia compresa, convergevano per doppiare le edizioni della casa americana. Tutto questo avvenne fino al 1932, anno in cui un regio decreto-legge italiano dispose che qualsiasi film straniero doppiato all’esterno del Regno d’Italia non potesse essere proiettato nelle sale italiane.


Il doppiaggio italiano.


All’epoca, il monopolio della produzione e distribuzione cinematografica era dominato dalla Cines-Pittaluga (produttrice, tra l’altro, del primo film sonoro italiano La canzone dell’amore. La società faceva capo ad Emilio Cecchi ed aveva come direttore il regista ed attore Mario Almirante. Questi, nell’estate del 1932, aprì a Roma il primo stabilimento di doppiaggio italiano, avviando subito la traduzione del film A me la libertà! di René Clair, nel cui doppiaggio è possibile riconoscere le voci di Gino Cervi e Corrado Racca. Nello stesso periodo nacquero altre case di doppiaggio, tra cui la Fotovox, l’Italia Acustica e la Fono Roma, che divenne la più importante del settore grazie alla 20th Century Fox, alla Paramount ed alla Warner Bros che le affidarono le edizioni italiane dei propri film. La Metro-Goldwyn-Meyer, invece, preferì impiantare un proprio stabilimento, che affidò ad Augusto Galli, l’attore italoamericano che alcuni anni prima aveva effettuato l’esperimento di doppiaggio italiano per la Fox.
Roma divenne così il punto focale del doppiaggio italiano: alle attrezzature che diventavano sempre più sofisticate si aggiunsero numerosi ottimi attori che divennero una presenza costante nell’immaginario del grande pubblico: Anna Magnani, Mario Ferrari, Romolo Costa sono solo alcuni degli attori che si avvicinano a questo nuovo settore. Negli anni successivi, il doppiaggio italiano decolla: compaiono i primi professionisti, come Paolo Stoppa, Andreina Pagnani, Lauro Gazzolo, Emilio Cigoli, Lydia Simoneschi e la bambina Miranda Bonansea, doppiatrice ufficiale di Shirley Temple; si avviano i dibattiti su questo nuovo, importante lavoro; le riviste del settore cinematografico applaudono la naturalezza dei vari doppiatori; perfino dall’estero, in deroga alle leggi tedesche, si richiede un doppiaggio (in inglese) di un film destinato al mercato della Germania, “in riconoscimento della perfezione tecnica raggiunta dalle case italiane del ramo”. Il 31 dicembre 1938 però, a causa della tassazione italiana sul doppiaggio, la maggior parte delle case cinematografiche americane interruppe l’esportazione delle proprie pellicole. La Seconda guerra mondiale spazzò via anche quelle poche presenze rimaste in Italia: dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 l’unica voce rimasta era quella dello stabilimento veneziano della Cines-Pittaluga, affidato al veterano Vincenzo Sorelli. Hollywood riprese a doppiare in loco come negli anni Venti, con risultati decisamente penosi.


Il dopoguerra.

Il dopoguerra vide la ricostruzione di tutti i rapporti, e le strutture, precedenti l’evento bellico. Un primo passo in questa direzione fu fatto da un certo Mister Lawrence, funzionario della Metro-Goldwyn-Mayer ed ispettore generale per l’Europa, che propose a Franco Schirato (che a suo tempo aveva sostituito l’attore Galli rientrato in America) di riprendere il suo posto. Ma la vera presa in carico di questa ricostruzione avvenne con la leggendaria Cooperativa Doppiatori Cinematografici (CDC), fondata nel 1945 per volontà di molti protagonisti della prima generazione di doppiatori, quella degli anni Trenta: tra i principali promotori vi erano l’attore e doppiatore Giulio Panicali assieme a Lauro Gazzolo, Tina Lattanzi ed Emilio Cigoli.
E’ in questo periodo che si colloca la nascita della seconda generazione di doppiatori italiani, con nomi come Giuseppe Rinaldi (la voce di Paul Newman e Rock Hudson), Pino Locchi (cioè la voce di Sean Connery Tony Curtis ed anche Terence Hill) o Flamina Jandolo, la doppiatrice di Brigitte Bardot. Questa generazione vide ampliarsi in maniera enorme le proprie possibilità lavorative, dato che alla CDC fece ben presto concorrenza una seconda cooperativa, l’Organizzazione Doppiatori Cinematografici (ODI). Queste due sigle doppiarono in pratica tutte le cinematografie europee, compresi molti film italiani. E’ in questo periodo che si perfeziona sempre più l’idea del doppiatore come la conosciamo oggi: si ricerca una maggiore varietà di voci, si perfezionano le traduzioni per non perdere le sfumature della lingua originale, si selezionano severamente i direttori di doppiaggio. Nello stesso periodo sono poste anche le basi per il futuro anonimato di molti doppiatori, tuttora ingiustamente sconosciuti ai più: la professionalità, in questo lavoro, impone al doppiatore di non emergere se non nell’interpretazione dell’attore doppiato, facendo sì che il pubblico identifichi la voce in italiano con l’attore e dimentichi, in buona sostanza, che ciò che sente è il frutto del lavoro di un doppiatore professionista.


La terza generazione.

Nei primi anni Cinquanta quindi, il doppiaggio italiano era divenuto nuovamente un’eccellenza a cui molti Paesi europei guardavano con interesse. Ma altissimo era anche l’interesse degli italiani, al punto che il livello professionale di quella che è considerata la terza generazione, al lavoro negli anni Cinquanta e Sessanta, se possibile aumentò ancora. Molti dei doppiatori che iniziarono a lavorare in quegli anni hanno smesso solo di recente o sono tutt’ora in attività. Tra di loro vi erano persone come Nando Gazzolo, Ferruccio Amendola, Fiorella Betti, Rita Savagnone, Massimo Turci e Vittoria Febbi. Sorsero nuove società di doppiaggio, come la Società Attori Sincronizzatori (SAS) che dal 1957 in poi cominciò a fare una spietata concorrenza alla CDC al punto che nel 1966 lo stesso Emilio Cigoli passò da una società all’altra. Negli anni Sessanta si cominciò anche a mettere in dubbio la consuetudine (unica nel panorama europeo) di doppiare anche i film italiani; ciò creò alcuni disagi soprattutto ai registi neorealisti, che facevano pronunciare ai loro attori, spesso non professionisti, numeri e frasi casuali per poi occuparsi della parte sonora solo durante la fase di doppiaggio.

Gli anni Settanta ed Ottanta.

Nel 1970 la CDC perse altri soci, che fondarono la Cine Video Doppiatori (CVD), e cambiò nome in Cooperativa Doppiatori. Nel 1981 molti suoi dipendenti, tra cui Giuseppe Rinaldi, si trasferirono nella neonata Gruppo Trenta di Renato Izzo, di fatto decretando la fine della CDC. Questo moltiplicarsi di società e cooperative era dovuto al fatto che il mercato del doppiaggio fosse in una fase di costante espansione dovuta a vari fattori: l’industria cinematografica, sempre più prolifica; la diffusione in massa della TV in Italia; soprattutto, l’avvento dei canali commerciali e dei cartoni animati. Grazie a questi cambiamenti, negli anni Ottanta si affermò anche la “scuola milanese”, che prese piede soprattutto quando Fininvest (oggi Mediaset) iniziò ad affidare alle cooperative milanesi (Merak Film in testa) il doppiaggio delle edizioni italiane dei cartoni animati e delle telenovelas mandati in onda sulle tre reti possedute. Da tutte queste vicende nacque una quarta generazione di doppiatori: agli anni Settanta ed Ottanta sono legati ad esempio Cristina Boraschi (la voce di Julia Roberts), Michele Gammino (voce ufficiale di Kevin Costner), Chiara Colizzi e Tonino Accolla, un’istituzione del mondo del doppiaggio italiano, specie per quello che riguarda appunto i cartoni animati ed i film di animazione.

Gli ultimi decenni.

Grazie ai recenti sviluppi dell’industria dell’intrattenimento ed alle nuove tecnologie, la richiesta di doppiatori qualificati è aumentata vertiginosamente. La generazione di doppiatori più recente ha a che fare non più solo con i film, i film di animazione ed i cartoni animati, ma anche e soprattutto le serie TV, che hanno visto una crescita esponenziale dagli anni Novanta in poi arrivando in alcuni casi a diventare dei veri e propri fenomeni di culto mondiale.
Il palcoscenico del doppiaggio nazionale è quindi diventato ancora più affollato, con un miglioramento sempre crescente da parte delle società di doppiaggio milanesi, che hanno potuto accumulare un’immensa mole di esperienza in pochi anni, e la nascita di molte altre realtà, come l’Arkadia Group International a Firenze, la Videodelta a Torino e la VociNazionali a Verona.

I testi sono stati tratti dal libro Le voci del tempo perduto di Gerardo Di Cola, edito da eDICOLA, 2004 e dalla sezione Storia del doppiaggio parte prima e seconda, da www.studioenterprise.it.

Ricerca per la Senza Barriere ONLUS di Ivan Piacentini. Riduzione e adattamento dei testi di Eraldo Busarello.